Pagina:Eneide (Caro).djvu/165

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124 l’eneide. [495-519]

495Scesi nel lito, e me n’andai con pochi
A ritrovarlo. Era quel giorno a sorte
Andromache regina in su la riva
Del novo Simoenta a far solenne
Sepolcral sacrificio; e, come è rito
500De la mia patria, avea, fra due grand’are
Di verdi cespi, una gran tomba eretta,
Monumento di lagrime e di duolo;
Ove con tristi doni e con lugúbri
Voci, del grand’Ettòr l’anima e ’l nome
505Chiamando, il finto suo corpo onorava.
     Poichè venir mi vide, e che di Troia
Avvisò l’armi, e me conobbe, un mostro
Veder le parve, e forsennata e stupida
Fermossi in prima; indi gelata e smorta
510Disvenne e cadde; e dopo molto, a pena
Risensando, mirommi, e così disse:
     Oh! sei tu vero, o pur mi sembri Enea?
Sei corpo od ombra? Se da’ morti udito
È il mio richiamo, Ettòr perchè te manda?
515Perch’ei teco non viene? E sei tu certo
Nunzio di lui? Ciò detto, lagrimando,
Empía di strida e di lamenti i campi.
     Io di pietà e di duol confuso, a pena
In poche voci, e quelle anco interrotte,


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