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140 | l'eneide | [895-919] |
Di molti legni il porto ove giugnemmo;
Ma sì d’Etna vicino, che i suoi tuoni
E le sue spaventevoli ruine
Lo tempestano ognora. Esce talvolta
Da questo monte a l’aura un’atra nube900
Mista di nero fumo e di roventi
Faville, che di cenere e di pece
Fan turbi e groppi, ed ondeggiando a scosse
Vibrano ad ora ad or lucide fiamme
Che van lambendo a scolorir le stelle;905
E talvolta, le sue viscere stesse
Da sè divelte, immani sassi e scogli
Liquefatti e combusti al ciel vomendo
In fin dal fondo romoreggia e bolle.
È fama, che dal fulmine percosso910
E non estinto, sotto a questa mole
Giace il corpo d’Encelado superbo;
E che quando per duolo e per lassezza
Ei si travolve, o sospirando anela,
Si scuote il monte e la Trinacria tutta;915
E del ferito petto il foco uscendo
Per le caverne mormorando esala,
E tutte intorno le campagne e ’l cielo
Di tuoni empie e di pomici e di fumo.
A questi mostri tutta notte esposti,920
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