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Pagina:Eneide (Caro).djvu/183

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142 l’eneide. [945-969]

945Se gli Dei, se quest’aura onde spiriamo,
Generosi e magnanimi Troiani,
Serbin la vita a voi, quinci mi tolga
La pietà vostra, e vosco m’adducete,
Ove che sia; chè mi fia questo assai;
950Poich’io son greco, e di quei Greci ancora
Che venner (lo confesso) a i danni vostri.
Se ’l fallo è tale, e se ’l vostro odio è tanto
Ch’io ne deggia morir, morte mi date,
E se così v’aggrada, a brano a brano
955Mi lanïate, e ne fate esca a’ pesci;
Chè se per man d’umana gente io pèro,
Perir mi giova. E, così detto, a’ piedi
Ne si gittò. Noi l’essortammo a dire
Chi fosse e di che patria e di che sangue,
960E qual era il suo caso. Il vecchio Anchise
La sua destra gli porse, e con tal pegno
L’affidò di salute; ond’ei securo
Tosto soggiunse: Itaca è patria mia,
Achemenide il nome. Io fui compagno
965De l’infelice Ulisse, e venni a Troia,
La povertà del mio padre Adamasto
Fuggendo (così povero mai sempre
Foss’io stato con lui!): qui capitai
Con esso Ulisse; e qui, mentr’ei fuggia


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