Pagina:Eneide (Caro).djvu/184

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[970-994] libro iii. 143

970Con gli altri suoi questo crudele ospizio,
Per téma abbandonommi e per oblio
Ne l’antro del ciclopo. È questo un antro
Opaco, immenso, che macello è sempre
D’umana carne, onde ancor sempre intriso
975È di sanie e di sangue, ed è ’l ciclopo
Un mostro spaventoso, un che col capo
Tocca le stelle (o Dio, leva di terra
Una tal peste), ch’a mirarlo solo,
Solo a parlarne orror sento ed angoscia.
980Pascesi de le viscere e del sangue
De la misera gente; ed io l’ho visto
Con gli occhi miei nel suo speco rovescio
Stender le branche, e due presi de’ nostri,
Rotargli a cerco, e sbattergli, e schizzarne
985Infra quei tufi le midolle e gli ossi.
Vist’ho quando le membra de’ meschini
Tiepide, palpitanti e vive ancora
Di sanguinosa bava il mento asperso
Frangea co’ denti a guisa di maciulla.
     990Ma nol soffrì senza vendetta Ulisse;
Nè di sè stesso in sì mortal periglio
Punto obliossi; chè non prima steso
Lo vide ebbro e satollo a capo chino
Giacer ne l’antro, e sonnacchioso e gonfio


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