Pagina:Eneide (Caro).djvu/225

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184 l’eneide. [845-869]

845Senz’alcun pro, senza cagione alcuna;
Quando anco a pena di Sidón gli trassi
Per ritôrli da man d’empio tiranno?
Ah! muor più tosto, come degnamente
Hai meritato; e pon col ferro fine
850Al tuo grave dolore. Ah, mia sorella!
Tu sei prima cagion di tanto male:
Tu, vinta dal mio pianto, in quest’angoscia
M’hai posta, e data ad un nemico in preda.
Chè devea vita solitaria e fera
855Menar più tosto, che commetter fallo
Sì dannoso e sì grave, e romper fede
Al cener di Sichèo. Questi lamenti
Uscian del petto a l’affannata Dido,
Quando già di partir fermo e parato
860Enea, per riposar pria che sciogliesse,
S’era a dormir sopra la poppa agiato.
Ed ecco un’altra volta, in sonno, avanti
Del medesmo celeste messaggiero
Gli appar l’imago, con quel volto stesso,
865Con quel color, con quella chioma d’oro
Con che lo vide pria giovine e bello;
E da la stessa voce udir gli parve:
     Tu corri, Enea, sì gran fortuna, e dormi?
Non senti qual ti spira aura seconda?


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