Pagina:Eneide (Caro).djvu/226

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[870-894] libro iv. 185

870Dido cose nefande ordisce ed osa,
Certa già di morire, e d’ira accesa
A dire imprese è vòlta; e tu non fuggi
Mentre fuggir ti lece? A mano a mano
Di legni travagliar vedrassi il mare,
875Di fochi il lito, e di furor le genti
Incontra a te, se tu qui ’l giorno aspetti.
Via di qua tosto: da’ le vele a’ venti.
Femina è cosa mobil per natura,
E per disdegno impetuosa e fera.
880E qui tacendo entrò nel buio, e sparve.
     Enea, preso da subito spavento,
Destossi, e fe destar la gente tutta:
Via, compagni, dicendo, ai banchi, ai remi;
Ch’or d’altro uopo ne fa che di riposo.
885Fate vela, sciogliete, chè di nuovo
Precetto ne si fa dal cielo, e fretta.
Ecco, qual tu ti sia, messo celeste,
Che ’l tuo detto seguiamo; e tu benigno
N’aìta, e ’l cielo e ’l mar ne rendi amico.
890Ciò detto, il ferro strinse, e, fulminando,
Del suo legno la gomina recise.
Così fer gli altri, e col medesmo ardore
Tutti insieme sciogliendo, travasando,
E spingendosi in alto, in un momento


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