Pagina:Eneide (Caro).djvu/240

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[120-144] libro v. 199

120V’adoro e ’nchino come cosa santa.
     Mentre così dicea, di sotto al cavo
De l’alto avello un gran lubrico serpe
Uscío placidamente; e sette volte
Con sette giri al tumulo s’avvolse.
125Indi, strisciando infra gli altari e i vasi,
Le vivande lambendo, in dolce guisa,
Con le cerulee sue squamose terga
Sen gío divincolando, e quasi un’Iri
A sole avverso, scintillò d’intorno
130Mille vari color di luce e d’oro.
Stupissi Enea di cotal vista; e l’angue
Di lungo tratto infra le mense e l’are,
Ond’era uscito alfin si ricondusse.
Rinnovellò gl’incominciati onori
135Il frigio duce, del serpente incerto,
Se del loco era il genio, o pur del padre
Sergente o messo. E com’era uso antico,
Cinque pecore elette e cinque porci,
Con cinque di morello il tergo aspersi
140Grassi giuvenchi anzi a la tomba occise,
Nuove tazze versando, e nuovamente
Fin d’Acheronte richiamando il nome
E l’anima d’Anchise. Indi i compagni,
Ciascun secondo la sua possa offrendo,


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