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Pagina:Eneide (Caro).djvu/245

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204 l’eneide. [245-269]

245Ne sentì ’l fiero giovine; e piangendo
Di stizza, e non mirando il suo decoro,
Nè che Menete del suo legno seco
Fosse guida e salute, in mezzo il prese,
E da la poppa in mar lunge avventollo.
250Poscia, ei nocchiero e capitano insieme,
Diè di piglio al timone, e rincorando
I suoi compagni, al sasso lo rivolse.
     Menete, che di veste era gravato,
E via più d’anni, infino a l’imo fondo
255Ricevè ’l tuffo; e risorgendo a pena
Rampicossi a lo scoglio, e sì com’era
Molle e guazzoso, de la rupe in cima
Qual bagnato mastino al sol si scosse.
Rise tutta la gente al suo cadere;
260Rise al notare: e più rise anco allora
Che’a flutti vomitar gli vide il mare.
     Memmo intanto e Sergesto, che del pari
Erano addietro, parimente accesi
Su l’indugio di Gia preser baldanza.
265Sergesto in vèr lo scoglio avea ’l vantaggio
Del primo loco; ma non tutto ancora
Era il suo legno avanti, che la Pistri
Premea col rostro del Centauro il fianco.
E Memmo confortando i suoi compagni


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