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Pagina:Eneide (Caro).djvu/246

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[270-294] libro v. 205

270E ’n su e ’n giù per la corsia gridando:
Via! fratelli, dicea, via! degni alunni
D’Ettore invitto, via! compagni eletti
Al grand’uopo di Troia. Ora è mestiero
De’ remi, de le forze e del coraggio,
275Ch’a le Sirti, a Cariddi, a la Malèa
Mostraste già. Non più vincer contendo,
Che pur devrei, se pur Memmo son io:
Vinca cui ciò da te, Nettuno, è dato.
Ma ch’ultimi arriviamo, ah non, fratelli,
280Questa vergogna; e ciò vincasi almeno,
Che di tanto rossor tinti non siamo.
     A cotal dir tutti insorgendo, a gara
Steser le braccia, ed innarcaro i dorsi,
E fer per avanzarsi estremo sforzo.
285Tremava a i colpi il ben ferrato legno;
Fuggia di sotto il mare; ansando i remigi
Aprian l’asciutte bocche; e spesso i fianchi
Battendo, a gronde di sudor colavano.
     Diè lor fortuna il desiato onore:
290Chè, mentre furïoso oltre si spinge
Sergesto, e con la prora arditamente
Rade la ripa, ebbe il meschino intoppo,
Urtando de lo scoglio in una roccia
Che nel mar si sporgea. Scheggiossi il sasso,

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