Pagina:Eneide (Caro).djvu/254

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[470-494] libro v. 213

470Quando ne l’erba, pria di sangue intrisa
Degli occisi giuvenchi, il piè fermando
Sinistramente e sdrucciolando a terra
Cadde Niso infelice, e ’l volto impresse
Nel sacro loto, sì che gramo e sozzo
475Ne surse poi. Ma del suo amore intanto
Non obliossi: chè sorgendo, intoppo
Si fece a Salio; onde con esso avvolto
Stramazzò ne l’arena; e mentre ei giacque
Eurïalo del danno e del favore
480S’avanzò de l’amico, e de le grida,
Con che gli dier le genti animo e forza:
Ond’ei fu ’l primo, ed Èlimo il secondo;
Diòro il terzo. E tal fine ebbe il corso.
     Ma di rumor se n’empie e di tenzone
485Il circo tutto; e Salio anzi al cospetto
De’ giudici e de’ padri or si protesta,
Or detesta, or esclama: e del tradito
Suo valor si rammarca, e ragion chiede.
In difesa d’Eurïalo, a rincontro,
490È ’l favor de la gente, e quel decoro
Suo dolce lagrimare, e quell’invitta
Forza c’ha la vertù con beltà mista.
Grida Diòro anch’egli, e lui sovviene,
E sè stesso difende, poi ch’il terzo


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