Pagina:Eneide (Caro).djvu/305

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264 l’eneide. [470-494]

470Mena quest’alme? e qual grazia o divieto
Fa che queste dan volta, e quelle approdano?
     A ciò la profetessa brevemente
Così rispose: Enea, stirpe divina
Veracemente (che di ciò n’accerta
475Il qui vederti), là Cocíto stagna;
Quinci va Stige, la palude e ’l nume
Per cui di spergiurar fino agli Dei
Del cielo è formidabile e tremendo.
Questi è Caronte il suo tristo nocchiero;
480Quella turba che passa, è de’ sepolti;
Questa che torna, è de’ meschini estinti
Che nè tomba nè lacrime nè polve
Ebber morendo. A lor non è concesso
Traiettar queste ripe e questo fiume,
485Se pria l’ossa non han seggio e coverchio.
Erran cent’anni vagolando intorno
A questi liti, e ’l disiato stagno
Visitando sovente, infin ch’al passo
Non sono ammessi. Enea di ciò pensando,
490Mosso a pietà de la lor sorte iniqua
Fermossi; ed ecco incontro gli si fanno
Mesti, d’essequie privi e di sepolcro
Leucaspi, e ’l conduttor de’ Licii Oronte,
Ambi Troiani, ambi dal vento insieme


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