Pagina:Eneide (Caro).djvu/379

Da Wikisource.
338 l’eneide. [945-969]

945Si dovea come a rege. Ma ’l buon padre,
Schivo di sì nefando ministero,
S’astenne di toccarle, e gli occhi indietro
Volse per non vederle, e si nascose.
     Ma per tôrre ogni indugio, un’altra volta,
950Ella stessa Regina de’ Celesti
Dal ciel discese, e di sua propria mano
Pinse, disgangherò, ruppe e sconfisse
De le sbarrate porte ogni ritegno,
Sì che l’aperse. Allor l’Ausonia tutta,
955Ch’era dianzi pacifica e quïeta,
S’accese in ogni parte. E qua pedoni,
Là cavalieri; a la campagna ognuno,
Ognuno a l’arme, a maneggiar destrieri,
A fornirsi di scudi, a provar elmi,
960A far, chi con la cote, e chi con l’unto,
Ciascuno i ferri suoi lucidi e tersi.
Altri s’addestra a sventolar l’insegne,
Altri a spiegar le schiere, e con diletto
S’ode annitrir cavalli e sonar tube.
     965Cinque grosse città con mille incudi
A fabricare, a risarcir si danno
D’ogni sorte armi. La possente Atina,
Ardèa l’antica, Tivoli il superbo,
E Crustumerio, e la torrita Antenna.


[617-631]