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Pagina:Eneide (Caro).djvu/401

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360 l’eneide. [195-219]

245Leggiadro, riguardevole ed altero
Sembrommi Anchise. Un desiderio ardente
Mi prese allor d’offrirmi, e d’esser conto
A quel signore. Il visitai, gli porsi
La destra, ospite il fei, nel mio Feneo
250Meco l’addussi. Ond’ei poscia partendo,
Un arco, una faretra e molti strali
Di Licia presentommi, e d’oro appresso
Una ricca intessuta sopravesta
Con due freni indorati ch’ancor oggi
255Son di Pallante mio: sì che già ferma
È tra noi quella fede e quella lega
Ch’or ne chiedete. E non fia il sol dimane
Dal balcon d’orïente uscito a pena,
Che le mie genti e i miei sussidi arete.
260Intanto a questa festa, che solenne
Facciamo ogni anno, e tralasciar non lece
(Già che venuti siete amici nostri),
Nosco restate, e come di compagni
Queste mense onorate. Avea ciò detto,
265Allor che nuovi cibi e nuove tazze
Ripor vi fece, e lor tutti nel prato
A seder pose; e sopra tutti Enea,
Di villoso leon disteso un tergo,
Seco al suo desco ed al suo seggio accolse.


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