Pagina:Eneide (Caro).djvu/410

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[470-494] libro viii. 369

470Avea, cui s’appoggiava; e ragionando
Di varie cose, agevolava il calle.
     Enea, meravigliando, in ogni parte
Volgea le luci, desïoso e lieto
Di veder quel paese, e di saperne
475I siti, i luoghi e le memorie antiche.
Di che spiando, il primo fondatore
De la romana ròcca in cotal guisa
A dir gli cominciò: Questi contorni
Eran pria selve; e gli abitanti loro
480Eran qui nati, ed eran fauni e ninfe,
E genti che di roveri e di tronchi
Nate, nè di costumi, nè di culto,
Nè di tori accoppiar, nè di por viti,
Nè d’altr’arti o d’acquisto o di risparmio
485Avean notizia o cura: e ’l vitto loro
Era di cacciagion, d’erbe e di pomi:
E la lor vita, aspra, innocente e pura.
Saturno il primo fu ch’in queste parti
Venne, dal ciel cacciato, e vi s’ascose.
490E quelle rozze genti, che disperse
Eran per questi monti, insieme accolse,
E diè lor leggi: onde il paese poi
Da le latebre sue Lazio nomossi.
Dicon che sotto il suo placido impero

Caro. — 24. [308-324]