Pagina:Eneide (Caro).djvu/411

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370 l’eneide. [495-519]

495Con giustizia, con pace e con amore
Si visse un secol d’oro, in fin che poscia
L’età, degenerando, a poco a poco
Si fe’ d’altro colore e d’altra lega.
Quinci di guerreggiar venne il furore,
500L’ingordigia d’avere, e le mischianze
De l’altre genti. L’assalîr gli Ausoni;
L’inondâr i Sicani; onde più volte
Questa, che pria Saturnia era nomata,
Ha con la signoria cangiato il nome,
505E co’ signori. E quinci è che da Tebro,
Che ne fu re terribile ed immane,
Tebro fu detto questo fiume ancora,
Ch’Albula si dicea ne’ tempi antichi.
Ed ancor me de la mia patria in bando
510Dopo molti perigli e molti affanni
Del mar sofferti, ha qui l’onnipotente
Fortuna, e l’invincibil mio destino
Portato alfine; e qui posar mi féro
Gli oracoli tremendi e spaventosi
515Di Carmenta mia madre, e Febo stesso
Che mia madre inspirava. E fin qui detto,
Si spinse avanti, e quell’ara mostrògli,
E quella porta, che fu poi di Roma,
Carmental detta, onore e ricordanza


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