Pagina:Eneide (Caro).djvu/476

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[970-994] libro ix. 435

970E con quei vostri galli, anzi galline
Di Berecinto, ite saltando in tresca;
E l’armi e ’l ferro, che non fan per voi,
Lasciate a quei che son prodi e guerrieri.
     Non potè tanto orgoglio e tanto oltraggio
975Soffrir d’un folle il generoso Iulo,
E teso l’arco con la cocca al nervo,
Rimirò ’l cielo e disse: Onnipotente
Giove, tu l’ardir mio, tu la mia mano
Fomenta e reggi, ed io sacri e solenni
980Ti farò doni: io condurrotti a l’ara
Un candido giovenco che la fronte
Aggia indorata, e de la madre al pari
Erga la testa, e già scherzi e già cozzi
Con le corna, e co’ piè sparga l’arena.
     985Giove, mentre dicea, tonò dal manco
Sereno lato; e col suo tuono insieme
Scoccò l’arco mortifero di Iulo.
Volò l’orribil tèlo, e per le tempie
Di Remolo passando, le trafisse.
990Or va’, t’insuperbisci: or va’, deridi,
Scempio, l’altrui virtù. Queste risposte
Mandano i Frigi che son chiusi in gabbia
Ai Rutuli signor de la campagna.
Questo sol disse Ascanio; ed al suo colpo


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