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Pagina:Eneide (Caro).djvu/543

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502 l’eneide. [1345-1366]

1345C’ho macchiato il tuo nome, c’ho sommerso
La tua fortuna e ’l mio stato felice
Co’ demeriti miei. Dal mio furore
Son dal seggio deposto. Io son che debbo
Ogni grave supplizio ed ogni morte
1350A la mia patria, al grand’odio de’ miei.
E pur son vivo, e gli uomini non fuggo?
E non fuggo la luce? Ah fuggirolla
Pur una volta. E, così detto, alzossi
Su la ferita coscia. E, benchè tardo
1355Per la piaga ne fosse e per l’angoscia,
Non per questo avvilito, un suo cavallo
Ch’era quanto diletto e quanta speme
Avea ne l’armi, e quel che in ogni guerra
Salvo mai sempre e vincitor lo rese,
1360Addur si fece. E poi che addolorato
Sel vide avanti, in tal guisa gli disse:
Rebo, noi siam fin qui vissuti assai,
Se pur assai di vita ha mortal cosa.
Oggi è quel dì che o vincitori il capo
1365Riporterem d’Enea con quelle spoglie
Che son de l’armi1 del mio figlio infette,


  1. Tutte l’edizioni hanno armi, ma stando al testo sicuramente apparisce che dovrebbe dire sangue. Il lettore giudichi di questa osservazione.

    Ediz. Passigli.


[851-863]