Pagina:Eneide (Caro).djvu/593

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552 l’eneide. [1145-1169]

1145S’avventa, e lo ghermisce; onde in un tempo
Sangue e piuma dal ciel neviga e piove.
     In questa, de’ mortali e de’ celesti
L’eterno regnator, che pur talvolta
Alcun de’ raggi suoi vèr noi rivolge,
1150Non con lieve disdegno o picciol’ira
Mosse Tarconte a sovvenir le schiere
De’ suoi ch’erano in volta. Egli per mezzo
Va de l’occisioni e de le mischie,
Or il destrier contra i nemici urtando,
1155Or le sue squadre inanimando, insieme
Le ristringe, le instiga, le garrisce,
E per nome ciascun chiamando, Ah, disse,
Tirreni, e che timore, e che spavento
È ’l vostro? che viltà, che codardia
1160V’ha presi? e quando mai fia che vi punga
O dolore, o vergogna? Adunque in fuga
Gite per una femina? una femina
Vi disperde e v’ancide? A che di ferro
Invan così le destre e i petti armate?
1165De le donne temete? E pur di loro
Sì timidi di notte, nè sì fiacchi
Negli assalti di Venere non siete,
Nè quando a suon di pifferi intimati
Vi sono i baccanali. Or via, campioni


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