Pagina:Eneide (Caro).djvu/617

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576 l’eneide. [295-319]

295Segnâr le tempie. Allor il padre Enea
Strinse la spada, e, gli occhi al ciel rivolti,
Così disse pregando: Io questo sole
Per testimone invoco e questa terra,
Per cui tanti ho fin qui sofferti affanni;
300Invoco te, celeste, onnipotente,
Eterno padre, e te, saturnia Giuno,
Già vèr me più benigna, e ben ti prego
Che mi sii tale, e te gran Marte invoco,
Ch’a l’armi imperi; e voi fonti, e voi fiumi,
305E voi tutti del mar, tutti del cielo
Numi possenti; e vi prometto e giuro
Che se Turno per sorte è vincitore
Di questa pugna, il successor del vinto
Gli cederà; ch’a la città d’Evandro
310Si ritrarrà; che mai poscia ribelle
Non gli sarà: che guerra o lite o sturbo
Alcun altro più mai non gli farà.
Ma se più tosto, come io prego, e come
Spero che mi succeda, al nostro marte
315La dovuta vittoria non si froda;
Io non vo’ già che gl’Itali soggetti
Siano a’ miei Teucri, nè d’Italia io solo
Tener l’impero; io vo’ ch’ambi del pari
Questi popoli invitti aggian tra loro


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