Pagina:Eneide (Caro).djvu/666

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[1518-1541] libro xii. 625

Rendi il mio corpo a’ miei. Tu vincitore,
Ed io son vinto. E già gli Ausoni tutti
1520Mi ti veggiono a’ piè, che supplicando
Mercè ti chieggio: e già Lavinia è tua:
A che più contro un morto odio e tenzone?
          Enea ferocemente altero e torvo
Stette ne l’arme, e vòlti gli occhi a torno,
1525Frenò la destra; e con l’indugio ognora
Più mite, al suo pregar si raddolciva:
Quando di cima all’omero il fermaglio
Del cinto infortunato di Pallante
Negli occhi gli rifulse. E ben conobbe
1530A le note sue bolle esser quel desso,
Di che Turno quel dì l’avea spogliato.
Che gli diè morte; e che per vanto poscia
Come nemica e glorïosa spoglia
Lo portò sempre al petto attraversato.
1535Tosto che ’l vide, amara rimembranza
Gli fu di quel ch’ei n’ebbe affanno e doglia;
E d’ira e di furore il petto acceso,
E terribile il volto, Ah, disse, adunque
Tu de le spoglie d’un mio tanto amico
1540Adorno, oggi di man presumi uscírmi,
Sì che non muoia? Muori: e questo colpo


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