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Pagina:Eneide (Caro).djvu/67

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26 l’eneide. [608-632]

Con diece e diece ben guarnite navi
Uscii di Frigia, il mio destin seguendo
610E lo splendor de la materna stella.
Or sette me ne son restate a pena,
Scommesse, aperte e disarmate tutte.
Ed io mendico, ignoto e peregrino,
De l’Asia in bando, da l’Europa escluso,
615E ’n fin dal mar gittato or ne la Libia,
Vo per deserti inospiti e selvaggi.
E qual m’è più del mondo or luogo aperto?
     Venere intenerissi; e nel suo figlio
Tanta amara doglienza non soffrendo,
620Così ’l duol con la voce gl’interruppe:
     Chiunque sei, tu non sei già, cred’io,
Al cielo in ira; poi che a sì grand’uopo
Ti diè ricovro a sì benigno ospizio.
Segui pur francamente, e quinci in corte
625Va di questa magnanima regina;
Ch’io già t’annunzio le tue navi e i tuoi
Da miglior venti in miglior parte addotti
Salvi e securi omai, se i miei parenti
Non m’ingannâr quando gli augúri appresi.
630Mira là sovra a quel tranquillo stagno
Dodici allegri cigni, che pur dianzi
Confusi e dissipati a cielo aperto


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