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Pagina:Epicuro, Marcantonio – I drammi e le poesie italiane e latine, 1942 – BEIC 1817146.djvu/11
- d’una lacrima sola e d’un sospiro,
- udendo il mio martiro. O cor doglioso,
- procura sol riposo per lagnarti,
- non giá per riposarti; o cieche luci,
- voi che mi foste duci e fide scorte
- in cercar la mia morte, allor che fui
- privo d’ambedue vui, spargete fuora
- lacrime d’ora in ora insin dal centro,
- ché l’altre che son dentro abbian piú loco.
- E voi sospir di fuoco, amici interni,
- compagni sempiterni ai fier tormenti,
- piú che l’usato ardenti, notte e giorno
- gite gridando intorno in l’aria sparsi,
- ch’uom piú miser di me non può trovarsi.
- Aprite, aprite gli occhi,
- vedete, amanti sciocchi, in quale stato
- Amor m’ha destinato. S’io sapessi
- in qual parte mi stessi, io direi forse
- quant’alme son trascorse in cieco oblio,
- sol per chiamarti Iddio. Ahi, fier tiranno,
- con qual arte ed inganno, or di’, ne’l fai?
- Udito non fu mai ch’uom per amare,
- per volerti adorare, offrirti il core,
- viva sempre in dolore, e gli sia caro!
- O stato pien d’amaro e di sospetto!
- In un ferito petto ognor dar loco
- or al ghiaccio, or al fuoco, ed amar spesso
- altrui piú che se stesso; una nimica
- che si pasce e nutrica del tuo sangue,
- per cui sempre si langue, che t’ancide,
- che del tuo mal si ride, che ti fugge
- che t’arde, ti distrugge, si nasconde,
- che mai non ti risponde,— è giogo grave,
- e par cosí soave per usanza!
- O fallace speranza de’ mortali!
-