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Pagina:Epicuro, Marcantonio – I drammi e le poesie italiane e latine, 1942 – BEIC 1817146.djvu/11

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la cecaria 5
d’una lacrima sola e d’un sospiro,
udendo il mio martiro. O cor doglioso,
procura sol riposo per lagnarti,
non giá per riposarti; o cieche luci,
voi che mi foste duci e fide scorte
in cercar la mia morte, allor che fui
privo d’ambedue vui, spargete fuora
lacrime d’ora in ora insin dal centro,
ché l’altre che son dentro abbian piú loco.
E voi sospir di fuoco, amici interni,
compagni sempiterni ai fier tormenti,
piú che l’usato ardenti, notte e giorno
gite gridando intorno in l’aria sparsi,
ch’uom piú miser di me non può trovarsi.


Aprite, aprite gli occhi,
vedete, amanti sciocchi, in quale stato
Amor m’ha destinato. S’io sapessi
in qual parte mi stessi, io direi forse
quant’alme son trascorse in cieco oblio,
sol per chiamarti Iddio. Ahi, fier tiranno,
con qual arte ed inganno, or di’, ne’l fai?
Udito non fu mai ch’uom per amare,
per volerti adorare, offrirti il core,
viva sempre in dolore, e gli sia caro!
O stato pien d’amaro e di sospetto!
In un ferito petto ognor dar loco
or al ghiaccio, or al fuoco, ed amar spesso
altrui piú che se stesso; una nimica
che si pasce e nutrica del tuo sangue,
per cui sempre si langue, che t’ancide,
che del tuo mal si ride, che ti fugge
che t’arde, ti distrugge, si nasconde,
che mai non ti risponde,— è giogo grave,
e par cosí soave per usanza!
O fallace speranza de’ mortali!