Pagina:Epistole di Dante Allighieri.djvu/11

Da Wikisource.

xi

tre il sapersi ch’egli era il principale consigliere de’ Bianchi, mentre si canduceano le pratiche per la pace, e nelle altre raunaie ch’indi seguirono; tanta eloquenza, tanta carità di patria v’è contro accesa, che l’esule fiorentino scorgesi quivi fuor d’ogni velo.

X. L’ultima poi nella serie del MS., quella ai Principi e Signori d’Italia, non conoseevasi nelf originale latino, ma solamente in un volgare antico di traduttore anonimo; ed è tutta sparsa di lacune che ne turbano il senso; taichè con grandissima difficoltà si riuscì finalmente a cavarne il netto, giovando in piccola parte l’aiuto del medesimo volgare. Il quale, sebbene stranamente scomposto e talvolta discorde dal significato del testo Palatino, lascia nondimeno apparire qualche traccia non inutile alla interpretazione di alcune parti mancanti, come si vedrà a suo luogo.

XI. E per toccare lo stile dell’Epistole in generale, tralasciando la miseria che verrà di mano in mano chiarita dalle spiegazioni poste in fronte a ciascuna delle medesime, o con apposite note, dirò quasi di volo, anche riguardo alle già dapprima pubblicate, che le forme latine non sono punto diverse da quelle che creare poteva il trecento, quanto aureo neW uso moderno, altrettanto ferreo nell’antico; non essendo punto meglio scritte le altre opere latine dello stesso Autore, le quali allo stile di queste in tutto si conformano; e che il fraseggiare vi è tutto scritturale e sopraccarico d’induzioni filosofiche e teologiche, se non in quanto v’apparisce ad ora ad ora qualche fior virgiliano conveniente al soggetto. Contuttoció queste cotali macchie non possono adombrare quel sole che raggiò il divino Poema. Sotto la ruvida corteccia esteriore corre un succo interno di pensieri, che produce bellissimi frutti di sapienza, e talvolta nelle stesse parole trasfondendosi le riempie di tal maestà e grandezza, che vince le ruggini del secolo, e cangia in oro il ferro; che si vede là dove il proscritto non meritevole inveisce con impeto d’eloquenza contra i Fiorentini nell’Epistola ai medesimi indiritta, nel MS., la seconda, che non per anco erasi da me fin qui citata: - «Quid vallo sepsisse, quid propugoaculis et piunis vos armasse juvabit,