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di fortuna, e pe’ costumi adiacenti alla sua origine barbarica e volti per educazione alle crudeltà, attendeva principalissimamente a rassicurarsi lo stato colla paura che uscirebbe dalla fierezza del suo governo. Operando altrimenti temea di essere tenuto a vile dal senato, e dagli altri popoli dell’imperio romano, i quali riguarderebbero alla passata sua ignobilità e non alla presente grandezza: che già correa per la bocca di tutti aver egli fatto il pecorajo su’ monti della Tracia, e che di poi, per la statura gigantesca, era stato arruollato fra i soldati provinciali, e finalmente sbalzato dalla fortuna sul trono imperiale. Per questo tutti gli amici e consiglieri di Alessandro eletti dal senato si levò dinanzi, rinviandone parie in Roma, e parte dimettendogli da’ loro uffizj, col dire non essere atti a disimpegnarli. Ciò fece eziandìo per restar solo nell’esercito, e non tenersi d’intorno persona che per nobiltà gli si avesse a preporre, e per potere senza divieto, come da un’altezza non attendibile, ingolfarsi ne’ suoi progetti tirannici. Cacciò di corte tutti i ministri, che per tanti anni aveano servito Alessandro: molti ancora ne uccise, avendo preso sospetto di loro, per averli visti immalinconichirsi per la morte di lui.