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Quando ad ararti appresti, e quando dato
Di piglio al sommo della stiva, il dorso
Con un virgulto istighi ai buoi, ch’avvinti
Pei guinzagli al timon traggon l’aratro,
Un garzoncel dell’arator sull’orme
Gli augei deluda ricoprendo i semi
Col rastro: chè per l’uom l’ordine è il meglio,
E pessimo è il disordine: sui solchi
Vedrai così piegar le colme ariste,
Se il Dio d’Olimpo a lieto fin le adduca.
Torrai dai cesti i ragnateli, e il core
Sui ben riposti gioiratti, io spero
Scorrerai la stagion dei verdi prati
Provvisto in copia: desioso il guardo
Sull’altrui vitto non terrai; ben altri
Bisogno avrà di te. Che se proscindi
Le pingui glebe quando il sol dà volta,
Mieterai raccosciato in man stringendo
Ben poco, e ariste e loglio alla rinfusa
Brutto di polve e mesto in core unendo
In sì scarsi manipoli, che appena
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