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libro primo | 77 |
XLII
Per le nozze del marchese Carlo Rosa
con Giuseppa Caracciolo
(179O)
Non piú guerra; pietá, figlio di Venere,
occhi-bendato arciero:
non son, qual era, della facil Chiara
sotto il soave impero.
L’ottavo lustro omai comparve a svellermi
l’inaridite chiome,
e della gloria giovanil mi restano
solo il rimorso e il nome.
Non vile atleta alle pareti idalie
appesi l’armi in voto;
or del Rosaro su l’arato margine
vivo alle Grazie ignoto.
Se preda brami di te degna, additala
alle tue frecce Imene,
che ti chiama a recar le faci pronube
su le sebezie arene.
Scegli un dardo soave, all’infallibile
con le maestre dita
arco l’adatta, e il cor di Rosa lacera
con profonda ferita.
Poi, sorridendo, della conscia vergine
t’assidi in grembo, desta
eguale incendio nel suo petto, e il talamo
impaziente appresta.