Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/104

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96 fausto.

Mefistofele. E qui siete appunto in luogo da ciò.

Lo Scolaro. Eppure, se ho a dire il vero, io avrei giả voglia di andarmene; ch’io non so s’io potrei mai assuefarmi a queste mura e a quest’atrii. È un sito stretto e senz’aria, di dove non si vede nè un albero nè un fuscello d’erba; e nelle sale, su per le panche, io in vero istupidisco, e non odo, non veggo, non intendo più nulla.

Mefistofele. Tutto nasce da abitudine. Così da principio il fantolino abbocca mal volentieri il seno della madre, ma poi vi corre ingordamente, nè sa spiccarsene; e tale avverrà a voi inverso le mammelle della sapienza, che ogni dì le appelirete con maggior desiderio.

Lo Scolaro. Oh, io mi sospenderò deliziosamente al suo collo. Sol piacciale additarmi la via ond’io arrivi ad essa.

Mefistofele. Prima che veniamo ad altro, ditemi che facoltà vi siete scelta.

Lo Scolaro. Che so io? io vorrei essere ben addottrinato in ogni cosa: abbracciare l’umano e il divino, la scienza e la natura.

Mefistofele. E qui siete appunto sul buon cammino. Se non che abbiate cura di non divagarvi troppo.

Lo Scolaro. Io non riguarderò a fatiche di alcuna sorta; ma io vorrei pur anche godere alcun poco di libertà, e rallentare alquanto lo spirito ne’ bei dì delle feste la state.

Mefistofele. Figliuolo, fale buon uso del tempo, che, oimė, fugge sì rapido. Nondimeno chi ha ordine ha tempo; e perciò io vi consiglio innanzi tutto lo