Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/121

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parte prima. 113

darsene per la porta della cantina, a cavallo a un barile. Io ho i piè gravi come fosser di piombo. (Volgendosi verso la tavola.) Cappita! non colerebbe forse ancor vino?

Siebel. Ogni cosa fu inganno, bugia e barbaglio.

Frosch. A me parve nullameno ber vino veramente.

Brander. Ma come la fu con quell’uve?

Altmayer. Or venga qualcuno a dirmi che non si dee credere ne’ miracoli!


LA CUCINA DI UNA STREGA.


Sopra un basso focolare sta bollendo un gran calderone. Per mezzo il vapore che ne esala veggonsi andare all’insù diverse fantasime. Una Gattamammona siede presso il calderone, lo schiuma e ha cura che non trabocchi. Il Gattomammone coi Gattini le è seduto a canto e si scalda. Dalle pareti e dal soffitto pendono tutti quegli strani arnesi che si convengono a una strega.

FAUSTO e MEFISTOFELE.

Fausto. Io ho a schifo questi pazzi arredi e queste stregherie. Che salute puoi tu promettermi fra sì fatta congerie di frenesie e di sozzure? Ho io bisogno del consiglio di una femmina decrepita? e potrà una sudicia broda levarmi di dosso trent’anni? Oh, misero se tu non sai altro partito! Io sono già fuori di speranza. Non può la natura provvedere, o non saprebbe un nobile Spirito trovare qualche balsamo?

Mefistofele. Tu torni al tuo senno! Sì veramente,