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130 | fausto. |
Ed a splendido convito
Fe i baroni ragunar
Nella sala dell’avito
Suo castello sovra il mar.
Ivi l’ultime gioconde
Stille ei bevve in mezzo a lor:
E dall’alto giù nell’onde
Gittò il sacro nappo d’ôr.
Ir giù il vide, e le tranquille
Acque rompere e sparir.
S’oscurâr le sue pupille;
Più non bevve il vecchio sir.
(Apre l’armadio per riporre le vesti e vede la cassetta.)
Com’è capitato qui questo bel forzierino? Io son ben certa ch’io aveva serrato l’armadio. Egli è strano! E che può esservi dentro? Forse che qualcuno l’abbia impegnato a mia madre, perchè vi prestasse sopra. Qui è un nastro con appesavi una chiavicina, ed io son tutta tentata di aprirlo. Che è ciò? Bontà del cielo! Ho io mai veduto simili cose nella mia vita? Una guarnitura! e tale che ogni più gran dama potrebbe metterlasi intorno nelle maggiori solennità. Starebb’ella bene a me questa catenella? E di chi mai saranno tanto ricche cose? (Se ne adorna e va innanzi lo specchio.) Se fossero miei pure gli orecchini! Che bell’aria mi danno! Io paio tutt’un’altra! Povere fanciulle, che vi giova la vostra bellezza? La è una bella cosa senz’altro la bellezza; ma che conto se ne tiene? Par che vi lodino per compassione; e tutti corron dietro a’ danari; i danar solo fanno miracoli. Ahi, noi altri poveretti!