Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/153

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parte prima. 145

Margherita. Io sono atterrita.

Fausto. Oh, non tremare! E questi nostri sguardi, questo stringere delle mani ti dicano quello che da nessuna parola può mai essere espresso. Abbandonarsi pienamente all’amore; inebbriarsi delle sue voluttà; e durare in eterna beatitudine! eterna! Oh, disperazione, s’ella potesse mai aver fine! No, non avrà mai fine! mai fine! (Margherita gli stringe le mani, sciogliesi da esso, e fugge via. Egli sta un istante sopra pensiero, indi la segue.)

Marta, venendo innanzi. Si fa notte.

Mefistofele. Sì, e noi ce n’andremo.

Marta. Io vi richiederei di rimanere più a lungo; ma siamo in paese assai maligno. Egli par che nessuno abbia altro da fare che spalancar gli occhi sui passi altrui, e dire de’ fatti del vicinato; e benchè vi diportiate bene, non c’è verso di scansare le male lingue. E la nostra giovane coppia?

Mefistofele. Se ne son iti a volo su pel viale di là. Sollazzevoli farfalle!

Marta. Pare ch’egli ne sia invaghito.

Mefistofele. Ed ella di lui. Così va il mondo.


UN CASINETTO NEL GIARDINO.


MARGHERITA sbalza nel casinetto, celasi dietro la porta, e messasi la punta del dito su le labbra spia fuori per le fessure.

Margherita. Egli viene!

Fausto. Ah, birboncella! tu mi stuzzichi, eh? Ti ho pur colla. (La bacia.)