Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/97

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parte prima. 89

chè non è senza pericolo il tirarsi in casa un simil servo.

Mefistofele. Odi: io mi obbligo qui a’ tuoi servigi; sarò a tutte l’ore al piacer tuo senza un riposo al mondo; e allorchè ci rivedremo di là, tu me ne ricambierai col far meco il medesimo.

Fausto. Il di là non mi dà gran noia. Quando tu abbi mandato a rovina questo mondo, venga por l’altro a sua posta. Da questa terra scaturiscono le mie gioie, e questo Sole illumina i miei dolori; e dove io pur giunga a svilupparmi da essi, avvenga allora che vuole e che può. Orsù, non più di questo. Poco mi cale se anche altrove l’uomo ami ed odii, e se vi abbia pure in altre sfere uno insú e uno ingiù.

Mefistofele. Poichè sei in sì buona tempera, tu puoi fare questa prova. Légati a me, e vedrai con che arti io li saprò far belli i giorni presenti. Io ti riserbo cose da nessun mortale nè vedute nè sognate giammai.

Fausto. E che puoi tu darmi, tu, povero diavolo? seppe mai un tuo pari comprendere l’uomo e gli alti intendimenti dell’anima sua? Tu mi darai cibi che non saziano, fulvo oro che mi discorre dalle mani come liquido mercurio; un giuoco al quale non si vince mai; una fanciulla che al mio fianco fa d’occhio al vicino e gli si promette: mi darai la fama che splende di celeste lume e si dilegua come meteora! — Ma su, porgi di cotesti tuoi tesori, — frutti che marciscono prima che sieno colti; alberi che rinnovano e perdono ogni giorno le foglie.

Mefistofele. Io son ricco di simil sorta di beni;