Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/96

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88 fausto.

       O tu, che i lassi
     Mortali tutti di possanza passi,
     Ricomponi il bel mondo;
     Nel tuo capace seno
     Lo ricompon più bello e più giocondo.
     E con sereno
     Animo al raggio
     Di più benigna stella
     Ricomincia il vïaggio
     D’una vita novella;
     Novelli canti noi
     Verrem spargendo sui vestigi tuoi.

Mefistofele. Questi sono i miei piccini. Giovani d’anni, ma di sapienza maturi, odili allettarti a un vivere operoso e festevole; a uscire nell’ampio mondo, fuori di questa solitudine dove i sensi intorpidiscono e il sangue ristagna.

Cessa di goderti nella tua tristizia, la quale, simile a un avvoltoio, si pasce delle tue viscere. Fossi tu anche nel consorzio dei pessimi, tu sentiresti pur sempre che sei uomo fra uomini. Mi si vuol già dire con ciò che tu abbi a rimescolarti con la ciurmaglia. Io non mi annovero fra’ grandi, ma se tu vuoi accompagnarli a me, e meco muovere i tuoi passi nel cammino della vita, io son lieto di acconciarmi teco immantinente; io mi ti fo compagno, o, se l’hai in miglior grado, mi ti fo servitore, mi ti fo schiavo.

Fausto. E che dovrò far io in iscambio per te?

Mefistofele. Quanto a ciò, non ti si vorrà far fretta.

Fausto. No, no; il diavolo è un interessato, non suol già fare leggermente l’utile altrui per l’amore di Dio. Di’ su netto e chiaro le condizioni,