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favole per i re d’oggi 67

nella santa Regola, ritengo d’esser io più ricco di questa francescana virtù.

Il frate più giovane aspettò ad occhi bassi che l’altro finisse, ma poi si guardò bene da tacere: — Lungi da me ogni idea di vantazione, — disse, — perocchè Dio per la sua immensa bontà ecceda talora nelle sue grazie; ma è noto a tutto il nostro convento che di questo paradisiaco dono dell’Umiltà, Egli m’ha voluto, se bene indegno, siffattamente colmare, come se cent’anni di Regola avessi già vissuto.

— Come dire, dunque, che de’ meriti della nostra santa Regola si possa dubitare? — esclamò il primo.

— Peggio mostrar di dubitare della grazia di Dio come tu fai, — ribattè il secondo.

— Non sia mai questo! — oppose di nuovo il primo — Solo parmi offendere la Grazia di Dio, vederla dove non è.

— Dire a un fratello ch’egli è da meno per virtù; questo è davvero una bella prova d’Umiltà che tu dai.

— Nè tu la dai migliore riprendendomi come tu fai!

— Io ho parlato soltanto per celebrare la Grazia Divina.

— E io per celebrar la Regola....

I granci ridevano da scoppiare. E non avrebbero voluto che quel gioco finisse mai.

Ma durò due ore sole!

Sapete perchè? Perchè il mare, che s’era pian piano alzato per l’alta marea, inondò a un tratto la piccola conca, mettendo in semicupio que’ due malcapitati fraticelli.

Quando, ratti ratti, tutti gocciolanti, quelli se ne furono andati starnutando, oh! come risorsero liete al bacio del mare le povere alghe schiacciate da quelle due così pesanti Umiltà!