Pagina:Ferrero - Appunti sul metodo della Divina Commedia,1940.djvu/123

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«O tu, che con le dita ti dismaglie»,
Cominciò il Duca mio ad un di loro,
3«E che fai d’esse talvolta tanaglie;
Dinne se alcun Latino è tra costoro,
Che son quinc’entro; se l’unghia ti basti
6Eternalmente a cotesto lavoro.»
«Latin sem noi, che tu vedi sì guasti
Qui ambedue»; rispose l’un piangendo
. . . . . . . . . . . . . . .
Lo buon Maestro a me tutto s’accolse
Dicendo: «Di’ a lor ciò che tu vuoli.»

Inferno, XXIX, 85-100


loda Dante:

«Io credo ben ch’al mio Duca piacesse;
Con sì contenta labbia sempre attese
3Lo suon delle parole vere espresse.
Però con ambo le braccia mi prese...»

Inferno, XIX, 121-124


ne prende le difese:

«S’egli avesse potuto creder prima —
— Rispose il Savio mio — anima lesa,
3Ciò ch’ha veduto pur con la mia rima,
Non averebbe in te la man distesa;
Ma la cosa incredibile mi fece
6Indurlo ad ovra, ch’a me stesso pesa.»

Inferno, XIII, 46-51


gli segnala i pericoli:

«Lo duca mio, dicendo: «Guarda, guarda»
Mi trasse a sé del loco, dov’io stava.
3Allor mi volsi come l’uom, cui tarda...».

Inferno, XXI, 23-25


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