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la rinascita 113


«Fraus universe mihi est, argutum consilium a virtute aut legibus devium, regis regnique bono» 1.

Eppure, mentre si scrivevano questi pensieri, il Machiavelli era bruciato in effige, messo all’indice, condannato alla riprovazione universale, esiliato da qualsiasi libro come autore, che si potesse citare. I tacitiani raramente lo nominano, anche quando lo confutano, designandolo con prudenti allusioni. Ipocrisia? Ingiustizia? Si bruciava l’opera di un uomo riprendendone sotto mano le teorie? No. La dottrina della Ragione di Stato alla quale Tacito doveva conferire l’autorità degli esempi antichi è elaborata nel cinque e nel seicento sotto l’occhio della Chiesa, ma pure avendo affinità con la dottrina machiavellica dello Stato-Dio, ne differisce sopratutto perchè tenta di risolvere la questione capitale dei limiti, entro cui è lecito allo Stato violare la legge morale per il bene pubblico.

Leggiamo, ad esempio, la pagina in cui Lipsio tratta della frode per ragione di Stato. Egli scrive: «ea triplex; Levis, media, magna. Illam appello quae haut longe a virtute abit malitiae rore leviter aspersa. In quo genere mihi est Diffidentia et Dissimulatio.

«Mediam quae ab eadem virtute flepit longius et ad vitii confinia venit. In qua pono Conciliationem et Deceptionem.

«Tertiam, quae non a virtute solum sed legibus etiam recedit, malitiae jam robustae et perfectae,

  1. (1) Iusti Lipsi, Polit., IV, 14.

Ferrero. - La Palingenesi di Roma.