Pagina:Ferrero - La palingenesi di Roma, 1924.djvu/158

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appendice 147


minatezza, ma una determinatezza. Epperò essa è da distinguere dalla libera fantasia poetica, cara a quegli storici che vedono o odono il viso e la voce di Gesù sul lago di Tiberiade, o seguono Eraclito nelle sue quotidiane passeggiale tra le colline di Efeso, o ridicono i segreti colloqui tra Francesco d’Assisi e il dolce umbro paese».

Sebbene involuta ed oscura, questa pagina distingue, una fantasia — chiamiamola così — «storica» che ricostruisce ed integra dai documenti quello che fu; e una fantasia poetica che inventa quello che non fu mai; concludendo che senza la fantasia «storica» la quale ricostruisce ed integra, non c’è storia. «Senza questa ricostruzione o integrazione fantastica non è dato nè scrivere storia, nè leggerla ed intenderla».

Su questo punto non possono esserci dubbi. È chiaro d’altra parte che quella che il Croce chiama qui, con linguaggio impreciso e barcollante, «ricostruzione o integrazione fantastica» è l’intuizione degli stati di coscienza passati. Ma in un’altra opera il Croce ha voluto giudicare l’opera mia e giudicarla non solo nella forma, ma anche nella sostanza, per negare che essa sia storia. Che cosa ha detto allora? Ha affermato che non solo la fantasia poetica, ma anche la fantasia storica, ossia l’intuizione, non può creare storia vera. Il lettore stenterà a crederlo; eppure è proprio vero che il Croce ha scritto testualmente così: «Il Ferrero crede che si debba con la immaginazione, o come dice, con la congettura integra-