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ranti, sotto cui trapelano, battendo, le vene cariche di sangue.

Ma, come diceva un grande filosofo, qualunque oggetto della natura non ci sembra soltanto infinito, ma anche dolcemente misterioso, perchè lo conosciamo senza capirlo. Che cosa sono, in ultima analisi, quegli spazi, quella pietra e quegli alberi di un paesaggio; o quei colori, quei pori, quella pelle, quella luce che brilla negli occhi di una fanciulla? Di questo si meraviglieranno forse coloro che hanno sempre creduto di vedere la natura come guardavano i quadri, e che anche spaziando con gli occhi fuori della finestra, o ripensando a una donna, vedono un quadro di paese o un ritratto.

Ma se è vero da una parte che tutti noi abbiamo sempre fatto, per goderla come bellezza e per conoscerla come realtà, un’illusoria sintesi della natura, è vero d’altra parte che l’inquietudine e insoddisfazione, di cui quella sintesi ha lasciato il nostro spirito pieno, ci dimostrano come in noi rimanga ancora un sentimento di rivolta contro noi stessi. E, anche se dobbiamo farlo ogni giorno, noi ci accorgiamo che questa sintesi della natura ci è imposta dalla nostra condizione di uomini, e che è un espediente per sfuggire a una specie di diuturno naufragio nell’infinito.