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al contagio della sua estetica e in parte ancora schiavo del concetto dell’imitazione, a mezzo dunque fra Leonardo e il Rinascimento, finisce per confessare che l’arte è grande perchè «imita talmente la natura delle cose corcorporee»2.

Ma già il Cennini nel suo Trattato della Pittura, s’era compiaciuto del fatto che l’artista riuscisse a fare il calco della natura, e cioè «ritrarre e simigliare cosa di naturale, la quale si chiama improntare»3.

Lorenzo Ghiberti, nei suoi Commentarii, dopo aver lodato Giotto perchè amò4, ci lascia detto di sè stesso:

«Mi ingegnai con ogni misura osservare in esso (e cioè nelle storie per le porte del San Giovanni), cercare imitare la natura quanto a me fosse possibile et con tutti i liniamenti che in essa potessi produrre»5.

Ora, anche Leonardo, nel suo Trattato della pittura, offre a questo principio delle pagine e delle similitudini. Non si contenta di ammettere che la pittura «è sola imitatrice di tutte le opere evidenti di natura»6; ma, con un’immagine poetica, che è divenuta illustre, scrive: «L’ingegno del pittore vuol essere a similitudine dello specchio, il quale sempre si trasmuta nel colore di quella cosa

6. Ferrero