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132 meditazioni sull’italia letteraria


Firenze, 12 Aprile

La critica moderna è uno squisito e sterile struggimento. Non aiuta infatti gli artisti a produrre delle opere d’arte, ma si serve del loro lavoro come gli artisti si servono della natura. L’opera d’arte è per il critico moderno quello che la natura è per l’artista, una falsariga, un pretesto. I critici non hanno pace finché non hanno saputo esprimere, in matasse incandescenti di frasi, il loro sentimento di fronte all’opera d’arte, come gli artisti non hanno pace finché non sanno che il pubblico proverà, dinnanzi alla loro opera d’arte, lo stesso brivido che essi hanno provato di fronte alla natura. I critici moderni precorrono il pubblico, vogliono dipingergli il suo piacere e la sua rivolta dinnanzi all’opera d’arte, prima che l’abbia conosciuta. I critici quasi si spazientiscono di riferire quello che in un’opera d’arte è obbiettivo, quello che in un’opera d’arte si puó riprodurre e riassumere, e smaniano di cogliere tra la maglie eteree delle parole, nella musica irrazionale dei loro periodi, quel quid che non avrebbero il dovere rigoroso di esprimere, il lucore che trema in fondo all’opera d’arte, come la linea cupa del mare trema in fondo a una pianura selvaggia. I critici moderni nascondono sotto una facciata spavalda dei misteriosi scoraggiamenti. I critici moderni, diciamolo finalmente, non sono più critici: sono degli artisti