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22 un nuovo poeta romanesco.

cosa accade se Dio crede diversamente, egli, seccato, risponde:

. . . . . . . . . . E allora poi st’untata
Je dà ’na spinta pe’ morì più presto. (lxxvii.)

Ad accrescere varietà e ridicolo vengono gli spropositi. Quel vizio comune a tutte le plebi, di sforzar le parole che non intendono, per farne tutt’una cosa con altre notissime, somiglianti di suono ma non di significato, e creare così etimologie cervellotiche, le quali poi spesso diventano legge nell’uso; un tal vizio, dico, è in sommo grado ne’ Romaneschi, e proviene forse principalmente da una certa loro superbia, onde non vogliono rassegnarsi a confessare a sè stessi e agli altri di non capire quel che non sanno. Perciò, il nostro Peppetto muta l’eucaristia in carestia; e leggendo la parola fornicazione, vuol saper dal curato come c’entri er forno. Ancora: i misteri gaudiosi del rosario sono per lui misteri da ride; sente chiamar novissimi ha morte, il giudizio, l’inferno e il paradiso, e afferma con gran sicurezza che qui il Bellarmino ha sbagliato, perchè queste cose so’ più vecchie der brodetto; legge nel catechismo che Dio «ci vuole.... mondi, non solo nell’esteriore, ma anche nell’interiore,» e lui intende:

Che nun abbasta de lavàsse er viso,
Ma s’ha d’avé pulite le budella,
P’annà, che Dio ne scampi, in paradiso. (lxii.)