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un’anima sentimentale, simile al latte bianco del cocco».

Sona rise, allineando le file orizzontali dei suoi regolarissimi denti. Ricordò:

— «Era la quarta novella del volume «Jazz-Band»; avevo scritto le precedenti ispirandomi a un violoncellista romantico, a un violinista distinto come un cameriere e magro come te, e a un suonatore di batteria paurosamente volgare. Ti avevo imposto di venire al caffè con un’ora di ritardo, per essere più libera coi miei soggetti — ma tu arrivavi sempre in tempo per sentire l’orchestra suonare «Valencia» soltanto per me».

Il «Tango»; le luci si spensero — nella penombra della sala tremarono riverberi viola, coni di riflettori rossi, linee gialle.

Sona e Farro si alzarono: il «tango» era l’unico ballo che li fasciasse sensibilmente.

Musica lenta: una carezza che snerva con infinite vibrazioni — raffinatezza suprema della sensualità.

Sona, troppo bianca e troppo viva, aveva un abito bruciante di seta rossa, che dava al corpo elegantissimo una movenza pericolosa. Farro, bianco e nero, aumentava la propria magrezza nervosa.

Ballarono in silenzio, assorbiti dal tango, e la musica nostalgica e violenta, il finissimo contatto dei corpi, la seduzione ambientale, ricamavano nella fantasia l’identico senso della loro felicità:

— «Ci conoscevamo da pochi giorni» — diceva la loro muta canzone «e il nostro amore spirituale aveva raggiunto la sua fusione — ma c’era in noi il