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vano1»; e Plinio osserva: «l’Italia non è seconda ad alcun paese per abbondanza di metalli, ma un antico precetto de’ padri, inteso al bene di questa nazione, impedì il cavarli»: Italia metallorum omnium fertilitate nullis cedit terris; sed interdictum id (cioè il cavarli) vetere consulto patrum, Italiae parci jubentium; e appresso; Italiae parcitum est, vetere interdicto patrum, ut diximus; alioquin nulla faecundior metallorum quoque erat tellus. Extat lex censuaria, quae in Vercellensi agro cavebatur ne plus quinque hominum in opere pubblicani haberent2.
Ma checchè sia di questi primi tempi, più positive si fanno le memorie degli scavi delle nostre miniere ai tempi dei Romani; perchè (a non valutare tradizioni popolari, che pur si mantengono fra quei valligiani, e che narrano come i Romani cavassero nei loro monti gran copia di metallo sì di rame che di ferro per farne attrezzi rurali e diverse maniere di armi) abbiamo, specialmente riguardo agli scavi delle miniere di rame e al grande spaccio che a questi tempi se ne faceva, una testimonianza di gran valore in Plinio; il quale asserisce: che al suo tempo ciò non si trovava meglio che nelle parti settentrionali dell’Italia e precisamente nei monti delle valli di Bergamo: Fit aes et e lapide aeroso, quem dicunt cadmiam. Celebritas in Asia et quondam in Campania; nunc in Bergomatium agro, extrema parte Italiae3. Nè minori delle cave del rame si deve creder che fossero a questi tempi nei nostri monti le cave del ferro. Perocchè, essendo fuori di dubbio per la allegata autorità di Plinio che i Romani facevano e con molto successo cavare nei monti molte miniere di rame, dovettero naturalmente, pur non volendolo, esser