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condotti a quivi stesso trovare e a scovare pur le miniere del ferro, i cui strati o filoni si hanno anche attualmente quasi a contatto, per non dire confusi con quelli di qualche miniera di rame; come si può vedere, per modo d’esempio, in una delle vette del Polzone, che è sopra Colere al lato settentrionale della Presolana e sulle falde meridionali del Venercolo, che è a settentrione della valle di Scalve tra Vilmaggiore e Schilpario1.
E poichè siamo nel campo delle congetture non lascierò di registrare un piccolo documento storico-geologico, che non può esser privo d’importanza quando si tratta di tempi in cui torna preziosa ogni più piccola memoria. In alcune aggiunte che si trovano manoscritte nella Memoria storica intorno alla Valle Seriana di P. A. Brasi, secondo un esemplare che mi fu già favorito dal mio carissimo professor Ronicelli, si leggono le seguenti parole: «In mezzo ad una viva pietra arenaria stata tagliata nel 1829 nell’appianamento di parte del monte a settentrione della Chiesa parrocchiale di Clusone, ad una profondità di oltre otto metri, si trovò un chiodo ossidato di notabili dimensioni, dalla quale fu improvvidamente spiccato a colpi di martello, e passò in mano del sig. Gianbattista Bertacchi. E parimenti in mezzo d’altra simile pietra fu trovato un pezzo di ferro greggio. Prima dunque (nota l’osservatore di quel documento) che la ghiaja di quel monte prendesse consistenza di pietra, in queste Valli si conoscevano già le miniere e le manifatture del ferro».
Ma una qualche più precisa notizia sull’escavazione e sul lavoro del ferro, che si faceva nelle nostre valli al tempo dei Romani, possiamo raccoglierla dalle nostre lapidi. Parecchie infatti se ne ricordano, alcune delle quali si possono tuttavia vedere, che accennano a Prefetti di fabbri,