Pagina:Fior di Sardegna (Racconti).djvu/179

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mormorò Lara, rinchiudendo le palpebre che le pesavano come se di piombo.

Rimase lungh’ore immobile, respirando a stento, mentre Rosa, la serva, ritta avanti al suo letto, le faceva vento con un ventaglio per rinfrescarle alquanto l’arsura della febbre e della temperatura infuocata. Certo, nella mente di Lara ferveva un misterioso e continuo lavorìo, perchè tratto tratto un sussulto le agitava il seno, e le sue labbra si arricciavano sotto le punture di uno spasimo atroce più morale che fisico; certo, ora il suo sopore voluttuoso di persona che riposa dopo lunghe e tormentose fatiche, veniva tormentato dagli affanni della febbre e dal ricordo di Nunzio, dal rimorso del suo suicidio, perchè Lara non dubitava punto su ciò come il corrispondente dell’«Avvenire». Non si accorse neppure di Marco, che entrò verso sera nella sua camera con donna Margherita.

Il giovine era più pallido del solito e molto triste; ma donna Margherita si meravigliava perchè era venuto così tardi, mentre conosceva la malattia di Lara sin dalla mattina.

Guardò a lungo, profondamente, la fanciulla e scosse la testa, dicendo fra sè: Ci siamo! e doveva finire così! Cha stolto che sono! Che stolto! Ah, se arrivassi tardi!

— Dorme? — chiese lievemente alla serva, che faceva sempre vento a Lara col ventaglio.

— Non saprei! E’ così tutto il giorno.

— Lara, mia cara Lara!... — mormorò chinandosi sulla ragazza. Lei aprì gli occhi e, visto il volto di Marco vicino al suo, fece un leggero movimento di disgusto; egli se ne avvide e si morsicò le labbra. — Come ti senti? — domandò, tastandole il polso.

— Così! Non è nulla... non so perchè hanno chiamato il medico... non so... Domani mi leverò... E’ nulla! Solo ho caldo, molto caldo... Rosa, aprì la finestra... via questo ventaglio, via! Siete veramente noiosi! Ma non ho nulla! non voglio medicine... — Rosa aprì la finestra, e Lara sorrise al lembo di cielo color rosa sfumato in oro che scorse attraverso le imposte spalancate.

— E’ una bella sera! — proseguì. — Peccato che ab-