Pagina:Fiore di classiche poesie italiane ad uso della gioventù, volume II, Milano, Guigoni, 1867.djvu/355

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Canto secondo.

Datasi al fin delle parole sante
     Mutua salute, per l’orme segnate
     In verso la badia mosser le piante.
Il poeta gentil, cui di pietate
     5Subito parve intenerirsi il volto,
     Porgea l’orecchio desioso al frate.
Ma questi, a viso chino e in sè raccolto,
     Taciturno venia, quasi repente
     Altrove avesse ogni pensier rivolto.
10Quale è colui che a ceneri già spente
     Sovra por crede in securtà le dita
     E da supposta brace arder si sente;
Per simil guisa il povero eremita,
     In cui da lungo e queto volver d’anni
     15L’acerba rimembranza era sopita,
Come prima narrar volle suoi danni,
     Tutta nel cor, che si parea già scarco,
     Sentì la piena degli antichi affanni.
Al fin per gli occhi il doloroso incarco
     20Traboccò quell’oppressa anima; e ’l pianto
     Ad un lungo sospiro aperse il varco.
Egli alle guance allor l’ispido manto
     Recossi, in atto che dicea: Perdona;
     E cominciò con fioca voce intanto:
25Colà ov’Adda il bel lago abbandona
     Per lo cui mezzo nel suo corso è tratta
     E dell’onda del Brembo ancor non suona,
D’antica gente e per ingegno fatta
     Lieta d’auro e di campi io nato fui:
     30Degli Angiolini s’appellò mia schiatta.
Una stirpe superba e grave altrui,
     Detta i Ronchi, albergava indi vicino,
     Pari di stato ed avversaria a nui.
Brivio la nostra si chiamò, Caprino
     35L’avversa terra ha nome; ambo comprese
     Nella fertil vallea di San Martino.