tempo nostro, in amare Firenze, e cercarne, con ogni studio la prosperità, fatto segno di idolatrie, di accuse abiette, di popolare riconoscenza, e di angusta, viva persecuzione settaria; ormai indiscutibilmente benemerito tra noi, e nella posterità, al di sopra d’ogni partito e d’ogni polemica; seppe, distruggendo i casolari immondi, riedificare un quartiere salubre, risanare Firenze dalla sua più turpe deformità: aprire un nuovo centro a’ traffichi, a lieta dimora, ov’era un focolare d’infezione, di miseria, di vizio e di delitto: e uno spaventoso focolare, ove appariva un mistero come certa gente vivesse1.
- ↑ Dedicavo, nell’agosto 1884, la prima edizione del mio libro a Ubaldino Peruzzi, allora semplice consigliere comunale di Firenze, con queste parole, fra altre:
«Voi, or sono otto anni, come si ricava da ciò che è detto negli ultimi capitoli di questo scritto, tentaste porre un rimedio a’ mali, oggi inciprigniti, che io discuopro e onde la nostra città è deturpata. Storico imparziale, cercando i documenti che attenevano al mio soggetto, trovai memoria della inchiesta da Voi ordinata sulle miserie di Firenze nel 1876. Se rimase senza effetto, non fu colpa vostra: averla ordinata, caldeggiata, tornerà sempre a vostro onore e farà saggio del vostro acume.
«Facile, e Voi lo sapete, è il rimedio al guaio, che oggi travaglia Firenze: a esser il gioiello più sfavillante tra le gemme, che rifulgono nella corona, che cinge l’Italia, richiede ne sia tolta una macchia che molto l’offusca. Nessuno potrà allora pareggiarne gli splendori. - La vostra parola, o signore, scuota gli addormentati; alzate la voce per carità del natio loco!
«E non disdegnate l’omaggio di un uomo libero.»