Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/100

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Per spazio di tre mesi vivo il tenne,
ma cento volte l’ora esso morio.
Dir non si può quant’émpiti sostenne
da sorte, ch’odia il buono ed ama il rio:
la qual stancò pur tanto a sé le penne
sopr’esso, ch’usci fatto il suo desio.
Però che con minacce di terrore,
che non fallisca al re gli mette in core.
101
Tesse ’l buon uoin di scirpo angosta cesta,
e Pugne e stipa in torno di bitume;
chiudevi dentro il figlio e sotto vesta
raccolto il porta, e fanne un duono al fiume.
Vassi giú Mòse, e la sua sore presta,
mentre ’l seguia, non mai gli torce il lume:
Maria costei fu detta, com’è scritto,
Maria fu chi servò lesú in Egitto.
102
Mirate, signor miei, mirate dove
vengonsi ad affrontar la forma e ’l vero,
parlo come le carte antiche e nuove
concorron di diversi in un sentiero!
Avete di duo re le infande prove,
tanti fanciulli uccisi a loro impero:
sol campa Mòse, d’ Israel rettore;
campa lesú, del mondo redentore!
103
Ioseppe, desto in su la prima aurora,
coglie gli arnesi e adorna l’asinelio;
gli pare ogni quantunque picciol’ora
mill’anni di tornarsi al dolce ostello.
Siede nel vii giomento la Signora
degli angeli col suo leggiadro e bello
Figliuol nel lembo de la vesta involto,
tenendolsi ben stretto volto a volto.