Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/110

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Non scioccamente il greco finse lei
aver solcato il mar sul dosso a Giove,
e i figli suoi, non pur quai re, ma dèi
per lor virtú fúr adorati altrove:
stan de l’ insegne ancor, stan de’ trofei
gl’impressi lor vestigi e le gran prove.
Tu, Atlante, giá; tu, Caucaso, passaste
di questa gran guerrera sotto l’aste!
13
Deh! perché dunque in Alcoran bugiardo,
licenzioso e brutto di costumi,
deh! perché un turco ed asian codardo
passa nostr’alti monti e larghi fiumi?
deh ! perché de la luna il fier stendardo
spegner vuol de la croce i chiari lumi?
Rispondo, e sol rispondo tre parole
scolpite in ferro: — Europa cosi vuole! —

  • 4

Ché, mentre la superba ed incostante
or l’aquila dispenna or sfronda il giglio,
mentre talor si dan le chiave sante
piú per uman che per divin consiglio,
mentr’un leone tien le asciutte piante
e l’alta impresa lascia del naviglio,
vien quel nostro vasallo effeminato
per far stupro di lei tant’onorato !

  • 5

Ché se piú a cor Milano giá mill’anni
non stato fosse di Belgrado e Rodi,
dubbio non è che’ franchi ed alemanni
e quei di Spagna e quei d’Italia prodi
avrian, com’ebber sempre, sparsi i vanni
de la lor fama e di lor tante lodi
sopra ogni nazion di parti, sciti,
tartari, mori e popoli infiniti!