Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/111

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E tu, Roma, del mondo imperadrice,
d’alti trionfi e d’arme e lettre ornata,
or t’assomigli a l’empia tua nutrice,
lupa da cani e porci ornai stuprata;
tu, di cotanti eroi la produtrice,
verso te stessa fosti sempre ingrata!
Non fia che ’n fede adunque dia di cozzo,
ch’ogn’argomento fuor di questo è mozzo.
>7
Ma del Battista fulmina la voce
che mi si fa sentir dal gran deserto.
Altro d’essa non ho ch’un angue atroce
di dentro al sino e l ’Acheronte aperto.
Non è si forte cor, non si feroce
ch’udendo lei non tremi e creda certo
dover perire allor, s’esso medesmo
di pianto non si lava e di battesmo.
18
Piú schietto d’òr, piú di bilancia giusto,
esso le sozze mende altrui castiga:
parla scoperto quel eh’ è male, ingiusto;
di che rancor s’ha mosso contra e briga.
Ma ’l forte campion del dritto e giusto
non a rispetto libertade obliga,
rinforza il petto a la sua chiara tromba,
che ne le conscienze altrui rimbomba.
19
La porpora non piú del rozzo panno,
l’oro non stima piú del fango e loto;
tutti ad un segno senza parte vanno,
e nel biasmar gli errori è scoglio immoto.
Qualora i sacerdoti a udirlo stanno
od altri egregi e fuor del volgo ignoto:
— Schiatta — dice — di vipere, qual fia
ch’inségnavi campar da morte ria?