Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/133

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104
Qui l’aspra sete in lor, ch’eran pasciuti,
a quel dover ber acque ancor piú langue.
Ed ecco a ’n batter d’occhio fór veduti
quasi non esser piú di carne e sangue,
ma ben confitti legni o sassi muti:
tant’ han per lo stupore il volto exangue,
mercé quell’acque, ch’acque non piú sono,
ma vin del pria bevuto assai piú buono !
105
Il coppier a lo scalco, esso a lo sposo
mostra palese l’alta meraviglia:
vedesi a pieno il fatto, e quell’ascoso
non stette qua, né altrove, a la famiglia:
ciascuno è sbigotito e pensieroso
e piú si pensa, piú si meraviglia.
Cosi de’ segni di Iesú fu questo
il primo, che si ’l fece manifesto.
106
D’un si gran fatto il grido non pervenne
ad altre orecchie allor che di sua gente,
la quale invidiosa non sostenne
ch’un citadino avesse, ch’eccellente
portasse lei di Fama in su le penne
da donde il sol s’aggira in occidente.
Or ascoltate s’atto piú villano
esce d’un turco o d’altrotal pagano!
107
Un chiaro e assai lodevole costume
fu de gli ebrei quasi eh ’allora spento,
perché la gola e l’ociose piume
fan l’uomo a l’opre giuste infermo e lento.
Era nel tempio il principal volume
che diede a’ padri Dio per testamento,
dove solean col popolo i primieri
unirsi a ragionar di que’ mistieri.